NHL PLAYOFFS: Pengins e Sharks ma non solo
Il lungo, lunghissimo cammino di questa infinita ma splendida stagione è arrivato al suo apice, quelle finali di Stanley Cup che ogni bambino segue sin dalle prime pattinate sul laghetto ghiacciato dietro casa oppure nella magia della pista da hockey.
Sembran che le storie siano destinate a diventare mito ancor prima di diventare leggenda come nel caso delle bandiere (e simbolo) di San Jose: se da un lato abbiamo Patrick Marleau che, dopo 1411 incontri di stagione regolare e 164 di post-season in 18 stagioni tutte con gli squali, arriva per la prima volta alle finali della Stanley Cup, non è da meno il mitico Jumbo Joe Thornton, aspettando solo 1517 partite tra RS e PO (passate tra Boston e San Jose) per l’appuntamento con la storia, partendo entrambi da Pittsburgh nel lontano ‘97 e dall’iconico Igloo che fu casa Penguins (al secolo Civic Arena) quando Thornton e Marleau vennero chiamati ai primi due posti dell’NHL Entry Draft 1997, con Murray ed Hertl a non aver ancora calzato i primi pattini da ghiaccio.
Scaramanzia Playoff
Miti e novelle tramandate dai posteri ed esorcizzate in modo maniacale sino ai tempi attuali, vedono rincorrersi aneddoti anche in questa serie, legate da piccole ma splendidi ‘fact’: se da un lato c’è la celeberrima barba da playoff a farla da padrone, a comparire anche tra i visi dei rookie e superstars senza meno, trovano la loro collocazione naturale nelle barbe oramai leggendarie dello stesso Jumbo Joe Thornton e di ‘Chewbacca’ Burns, a conquistare e spopolare tra meme, foto e copertine hockeystiche in ogni dove.
In ‘barba’ alla stessa scaramanzia, i Penguins hanno sollevato al cielo la Prince of Wales Trophy che, per antonomasia, non deve nemmeno esser sfiorata dalle vincitrici delle Conference (vedi San Jose a tener le distanze dal Clarence) prima delle Stanley Cup Final’s; nel 2008 difatti, i Pens non sollevarono la coppa per poi perdere la finalissima contro Detroit mentre l’anno seguente, Crosby e soci decisero di affrontare e sfidare la sorte, ed al fatidico ‘tocco del trofeo’ fece seguito la vittoria della Stanley Cup.
Dal canto loro anche gli Sharks hanno esorcizzato l’avvento del fatidico gatto nero (maleficio nel contesto sportivo nordamericano, legato alla disfatta dei Chicago Cubs del baseball a crollare nelle World Series del 1969 contro i Mets), ad uscire nel riscaldamento di G1 contro Nashville dal pancone di casa, a portare però simbolicamente fortuna agli stessi californiani, che dopo aver adottato il felino, ad ogni uscita sono sempre accompagnati da un gatto di pezza nero a ricordare il fatto.
Pittsburgh e San Jose
Distanti oltre 3600 km e separate da ben nove stati americani che si rincorrono da Est verso Ovest (e viceversa) seguendo per ampissimi spazi la mitica Route 66, sono città relativamente simili, con la californiana San Jose immersa nello splendore della Bay Area, dove si sviluppa il polo High-Tech della Silicon Valley ad una 70ina di chilometri da Frisco, mentre Steel City deve il suo nick alla fiorente attività siderurgica del passato, convertita negli anni in terziario divenendo prima città degli Stati Uniti per qualità di vita.
Relativamente giovane anche la rivalità sul ghiaccio, con sole 42 sfide dal 1991 (anno di entrata degli Sharks nella Lega) con indice a favore degli squali, avanti 18-12 assieme a due pareggi; il tempo delle attese, considerazioni ed aneddoti legate dalle lunghe e folte barbe è agli sgoccioli e da domani notte si farà sul serio con le Stanley Cup Final’s 2016.