È molto l’immenso Gino Odijck

di Miki Faella

Apriamo con una tremenda notizia che da poche ore ha sconvolto l’intera  comunità hockeystica mondiale, con la prematura scomparsa del guerriero Gino Odijck a soli 52 anni, dopo una lunga malattia che ne ha minato la salute prima e che lo ha portato ad un lento declino fino all’annuncio da parte della sorella Dina, arrivato questa notte.

Chi ha a cuore l’hockey nostalgico non può di certo non ricordarselo; quello magari fatto di sfumature e richiami alla old school fatta di cazzotti e risse da saloon sul ghiaccio più bello del mondo col coro ‘Gino, Gino, Gino‘ a risuonare in tutta Vancouver e la British Columbia.
Gino purtroppo era malato da tempo ed in condizioni precarie lottava contro un terribile nemico invisibile, che si risponde al nome di amiloidosi, una malattia autoimmune che provoca la produzione ed il deposito nel cuore di una proteine atipica che causa l’indurimento del muscolo cardiaco, sin dal 2014.

Ma chi era Wayne Gino Odijck?
Ai più questo nome non dirà tanto, poco meno di 170 punti in NHL in “sole” 605 apparizioni nell’arco di una dozzina di stagioni, giocatore goffo e sgraziato come pochi sui pattini con “movimenti e gesta che ricordavano più un tagliaboschi con la sua scure nei boschi delle Rocky Mountain” che un giocatore di hockey famoso (forse?) solo per i suoi 2567 PIM in carriera. “…si certo era un ottimo goon (agitatore) diranno i poi…” ma non era solo questione di menar le mani o far zuffe degne dei saloon ghiacciati NordAmericani: Gino incarna tuttora la voglia di riscatto; di quanto si possa lottare ed emergere nella vita e per far questo raccontiamo di lui iniziando dalle origini.
Nato nel Settembre del 1970 in una riserva indiana Algoquin a Maniwaki (Quebec), Gino è cresciuto in un contesto particolarmente difficile e poco agiato, classico (purtroppo) per un nativo americano con pochissime possibilità di riscatto sociale e sin da subito inizia ad emergere col proprio peso e spirito a farsi conoscere nel mondo hockeystico grazie al suo modo di rapportarsi al mondo. Dopo due buone stagioni nella QMJHL arriva la chiamata al Draft del 1990 (quinto giro) da Vancouver scelto ovviamente più per le sue doti da “agitatore” che da hockeysta; con un pizzico di farina del proprio sacco il leggendario Pat Quinn lo farà amare alla platea della BC. Dopo il suo debutto tra i pro contro i B‘Hawks, una rete a referto e la sua primissima bagarre nella Lega contro un killer del tempo (un certo Dave Manson), il canto “Gino!Gino!Gino!” sollevatosi al termine del primo scambio di cortesie tra i pro, diverranno marchio di fabbrica Made in Vancouver accompagnando sempre questo roccioso giocatore che alla prima intervista dichiarerà “…beh son contento ad esser sopravvissuto contro Manson”. Odijck inizia ad inserirsi in una realtà veramente diversa dalla sua piccola comunità: era consuetudine per lui perdersi tra le vie ed i grattacieli della metropoli canadese, iniziava ad abituarsi ai locali, ristoranti e vie affollate anche se preferiva sempre le silenziose montagne del Pacifico e aiutato da una guida locale della comunità degli Musqueam per lui era come “sentirsi a casa nonostante la distanza”, mal digeriva gli abiti di apparenza che ogni pro doveva mostrare (preferiva maglioni e vesti “più comode”) ed anche sul ghiaccio non era certo un picchiatore alla Tie Domi e Stu Grimson (pugili sui pattini in quegli anni) ma ovunque c’era da scatenare bagarre o difendere i propri compagni Gino era sempre presente, forse non il primo ad arrivare alle mani ma di certo l’ultimo a lasciare il ghiaccio, poco conta se ferito o sanguinante.

La stagione da rookie va in archivio con sole 45 uscite e poco meno di 300 minuti di panca puniti ma Quinn l’anno seguente lo affiancherà spesso in prima linea(!) ad un certo Pavel Bure, fresco esordiente in NHL, per guardare le spalle a ‘The Russian Rocket” dall’assaggio del mondo nordamericano. Tra i due nascerà una profonda e reciproca amicizia (ed ammirazione) nonostante il diverso mondo di appartenenza con Bure, osannato dai più e vero uomo simbolo dello show business che inizia a farsi strada nella Lega mentre Gino che, a differenza dello stellare russo, avrà per tutta la carriera un profilo decisamente più basso aiutando la propria comunità per far in modo che “…ogni First Nation possa emergere dalla propria condizione ” mentre sul ghiaccionon voglio essere il più cattivo o il miglior agitatore della Lega, voglio solo prendermi cura dei miei compagni/fratelli di squadra”.
Se Detroit aveva Yzerman, Boston aveva Bourque ed a Pittsburgh Lemieux e Jagr facevano la gioia dei Pens, Vancouver aveva Gino e per i teammates era una garanzia “…non importa come nasca una bagarre, sappiamo che a guardarci le spalle c’è sempre Gino”(cit.Cliff Ronning). Nella stagione 93-94 mette a referto ben 16 reti(!) con i Canucks che arriveranno ad un niente dall’agognata tazza (ai Rangers dopo 54 anni di digiuno) ma saranno meno fortunati gli altri anni, in quel di Vancouver, con un team che non riesce ad imporsi sul ghiaccio nonostante l’abbondanza di stelle (Trevor Linden, lo stesso Pavel Bure senza dimenticare i vari Lumme e MacLean e l’arrivo di Moginly nel finale) e quando finisce l’era di Quinn inizieranno anche i primi problemi di salute per Gino. Lega tantissimo con la comunità di Vancouver e da allora non se n’è mai distaccato anche quando i “suoi” Canucks gli voltano le spalle scambiandolo con gli Isles dopo quasi 8 stagioni, poco più di 400 partite e quasi 2000(!) minuti di penalità . La vita di un agitatore è costellata di numerose commozioni e traumi soprattutto a livello celebrale ma nell’alto della sua umiltà non ne ha mai fatto un “exploit” o motivo di “tirarsi indietro” : solamente a fine carriera arriverà quest’ammissione dopo i brutti eventi che hanno coinvolto altri “enforcer” del passato come Belak o Probert ma resteranno epiche le scazzottate contro altri goon del calibro di Domi, Brashear e lo stesso Manson. A riprova di ciò, lontano dalla sua Vancouver saranno sempre meno le sue comparsate sul ghiaccio e sempre più i problemi fisici sia a Long Island (due annetti e mezzo con sole 80 uscite) mentre a Phila fa sole 30 uscite in due anni per chiudere a Montréal con meno di 50 partite.
Appeso i guantoni al chiodo, Gino con moglie e figli rimane sempre molto attivo nel sociale delle varie comunità dei nativi, a tutela e salvaguardia della Cultura della First Nations, gestendo pure un centro golfistico nella sua casa sempre in quel di Vancouver, città che lo ha adottato, amato hockeysticamente e mai dimenticato (nella Top 10 dei migliori Canucks in quarant’anni e passa di militanza in NHL della franchigia canadese) e unita nuovamente per rendere onore a questo immenso uomo che d’ora in poi guiderà i suoi Vancouver Canucks dall’Olimpo dell’hockey.

Stecche al Cielo per il grande Gino!

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