Bolzano, la città che ha ritrovato l’amore nell’hockey

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di Luca Tommasini 

E’ un giorno di metà novembre, in piena regular season. E’ il derby del Tirolo, sai che è una partita particolare soprattutto per i tifosi. Un derby importante soprattutto per la classifica, quest’anno l’Innsbruck è squadra temibile. Entri al Palaonda con largo anticipo e lo vedi riempirsi. Sempre di più, minuto dopo minuto. Manca ormai poco all’inizio e ti giungono voci di una fila ancora lunghissima fuori dalle casse. Quasi 4.000 persone. Erano poche centinaia in meno due settimane prima, contro il Vienna. Quando leggi questi numeri, quando vedi che Bolzano ha una media di 2.755 spettatori, la sesta in EBEL, capisci che qualcosa che sta cambiando. O meglio, sta tornando com’era. L’amore per l’hockey è sbocciato nel capoluogo altoatesino, un seme rimasto troppo a lungo sotto terra. La Erste Bank Eishockey Liga è stata come acqua, fertilizzante, concime per questo fiore biancorosso. Si può di nuovo parlare di ruggito del Palaonda, come quello al goal di Palmieri a un minuto dal termine del match contro l’Innsbruck o a pochi secondi dalla sirena finale di quello contro i Capitals. Si può parlare di una passione che si sta diffondendo inesorabilmente lungo tutta la città, dai negozi, ai centri commerciali, alle televisioni.

La stagione dell’HCB Alto Adige Alperia? Finora decisamente positiva. Certo, ci sono stati momenti di defaillance, ma stiamo parlando di una squadra che veleggia tra il quarto e il quinto posto in classifica. Una squadra giovane, intrisa di giovanissimi alla prima esperienza in Europa. Con elementi importanti e d’esperienza a chiudere il cerchio. La classifica è cortissima, basta un K.O. per ritrovarsi più in basso, come dice Tom Pokel: “Da un buon novembre deriva un ottimo dicembre”. Staremo a vedere.
Metropolit
Parlavamo di esperienza. Parliamo di Glen Metropolit. Uno di quei giocatori con cui ti divertivi ai tempi di NHL99 per la Playstation 1 o per il Nintendo. 42 anni, una passione straordinaria, classe da vendere. E il fisico di un 30enne. Serve tempo al centro canadese con oltre 400 presenze in NHL per entrare in piena forma, per recuperare il fiato dopo cinque mesi senza partite. 200 persone presenti al Palaonda per il suo primo allenamento, una folla di giornalisti; per qualche momento sembrava di essere tornati al 1994, quando in via Galvani era arrivato un certo Jaromir Jagr. La storia di Metropolit è straordinaria e a tratti commovente, dall’infanzia difficile in un quartiere complicato di Toronto, a un destino che gli ha permesso di scampare per miracolo al disastro della Lokomotiv Yaroslavl: e non è quantificabile l’aiuto che potrà dare a una squadra così giovane in termini di esperienza. “Lavorate duro, date il massimo, inseguite il vostro sogno”, lui che è entrato nell’Olimpo dell’hockey dalla porta di servizio.

Pokel

Parlavamo di una squadra giovane. Parliamo allora di alcuni dei nuovi italiani sbarcati alla corte di coach Tom Pokel. Luca Frigo e Daniel Glira, ad esempio, sono entrati nel giro di pochi mesi nel cuore dei tifosi. Il primo, talentuoso attaccante piemontese classe ’93, si è subito distinto per la sua tenacia, la corsa, la voglia di fare bene, riuscendoci il più delle volte e guadagnandosi posti di tutto rispetto nelle prime o nelle seconde linee della squadra. Il secondo, difensore pusterese classe ’94, si è calato perfettamente nella retroguardia biancorossa, dimostrando spesso una calma e un’esperienza straordinarie per la giovane età: fa quello che serve, sbaglia poche volte, fa le cose semplici. E si toglie anche lo sfizio del goal, già due in questo campionato: che onore poi segnare in occasione del primo assist sfornato da Metropolit con la maglia del Bolzano. Poi c’è Michele Marchetti: il fassano riveste lo scomodo ruolo di “13esimo attaccante”, ma tra l’addio di Yogan e l’arrivo di Metropolit ha dimostrato che su di lui coach Tom Pokel può contare. Un giocatore che quando entra sul ghiaccio dà sempre il 100% non sarà mai “di troppo”, soprattutto quando trova anche la via della rete: Marchetti si è portato a casa un disco importante dal ghiaccio di Fehervar, il disco del suo primo goal in EBEL.

Tirando le fila, questa squadra ha fatto innamorare Bolzano. Gli italiani, lo “zoccolo duro” di questi anni, gli stranieri che sono rimasti. E la sensazione è quella che non serva per forza una vittoria, nemmeno una coppa, perché l’hockey pian piano sta entrando nel sangue di questa città. Ancora una volta. E se continuerà così, se la strada intrapresa verrà percorsa con attenzione e con la stessa voglia di fare e, naturalmente, di vincere, il futuro non può che essere radioso.

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