Tretiak: il rimpianto più grande della storia dell’Hockey
di Miki Faella
Tra gli Immortali dello slot, iconici goalies che han cambiato la figura dell’estremo, solo pochi eletti sono entrati di diritto nella storia e leggenda della gabbia.
Le elitarie scuole canadesi, che han sfornato portieri come St.Patrick Roy, Ken Dryden oppure andando indietro nel tempo come Terry Sawchuk o Johnny Bower oppure quella yankee al pari dell’ex stellato Tom Barrasso o Mike Richter, spesso si sono ‘scontrate’ con portieroni del Vecchio Continente, che dopo aver fatto benissimo in Europa, han sfondato anche nel massimo campionato della National Hockey League, come Dominik Hasek, Hank Lundqvist o lo sfortunato Pelle Lindbergh, volato via troppo presto con una carriera già lanciatissima a Philadelphia prima del mortale incidente a soli 26 anni.
Tra questi ne manca UNO e non un portiere qualunque
Stiamo parlando della Leggenda Vladislav Tretiak, saracinesca che nell’epoca della Guerra Fredda era molto di più di un portiere ma una vera icona dello sport della gloriosa Unione Sovietica.
Beh, mettetevi comodi che questa storia vi racconterà di un aspetto poco conosciuto della vita di Vladislav e del sogno mancato chiamato NHL.
Non iniziamo certo dai suoi infiniti successi, che contano 13 campionati dell’URSS con la sua CSKA Mosca (squadra dell’Armata Rossa) dei 10 mondiali iridati, delle 3 medaglie d’oro Olimpiche (1972, 1976, 1984) intervallate solo dall’argento storico di Lake Placid ma dal momento che il buon Vladislav chiuse la sua carriera.
Siamo nel 1984, ed esattamente nel sud della Svezia, dove la selezione dei ‘dilettanti di stato‘ sovietici scende per un torneo annuale nel paese scandinavo, con al collo l’oro olimpico di Sarajevo dello stesso anno e l’ennesimo titolo col CSKA, raggiunto con la bellezza di 43 vittorie su 44(!) incontri e lo stesso Tretiak è invitato a rilasciare una ‘normale’ intervista come era solito fare ai vari giocatori in giro per il mondo.
Arrivato in compagnia di un funzionario/supervisore sovietico al tempo, il buon Vladislav non sembrava troppo entusiasmato dopo una annata ‘discretamente’ eccezionale, col pensiero fisso chiamato National Hockey League e dei Montreal Canadiens; un paio di anni prima, la fortissima selezione sovietica vinse contro le nazionali nordamericane ed europee più forti la Canada Cup, superando proprio in finale il Canada, espugnando il glorioso Forum di Montreal per 8-1, con super prestazioni dello stesso Tretiak. L’anno seguente proprio gli Habs selezionarono al settimo giro del draft il 31enne(!) estremo, visto che la Cortina di Ferro splendeva ancora in tutto il suo fascino e nel pieno delle tensioni tra Est ed Ovest sullo scacchiere mondiale.
Davanti a quella ‘intervista’ controllata, col funzionario sovietico (che poi si scoprì essere un addetto alla sicurezza del KGB) le lapidarie parole di Tretiak rispecchiavano in pieno la dottrina dell’epoca
“La mia carriera sportiva appartiene al popolo sovietico e non ho ambizioni di giocare in NHL; sono impegnato col CSKA e con la nazionale sovietica, fine!”
Tutto era quindi ben orchestrato, col proprio amore per i colori dell’Armata e fiero della decisione di continuare la carriera nella sua Unione Sovietica, che Tretiak onorò al suo solito, trascinando l’URSS all’ennesima vittoria; tutto sarebbe passato ma non QUELL’INTERVISTA, se non rispolverata dallo stesso iconico portierone qualche annetto più tardi.
L’estrema delusione del sogno Canadiens, lasciò Tretiak con l’amaro in bocca e senza stimoli fuori dal ghiaccio, dopo un incredibile braccio di ferro con gli alti dirigenti sovietici dell’epoca, durata l’intera estate post-Canada Cup, che non diedero il via libera al portierone di volare in nordamerica, lasciando a Vladislav la sola decisione di appendere i pattini e gambali al chiodo a soli 32 anni, tra l’incredulità sovietica e non solo, motivando “la stanchezza dopo anni passati ai massimi livelli mondiali a cui era sottoposto come giocatore sovietico di hockey, avendo sempre dato il massimo per il Club e Nazionale così come al suo paese, dedicandosi alla moglie Tatiana e famiglia, invece di passare undici mesi all’anno col CSKA e nazionale sovietica ”
Caduto il Muro di Berlino, superate le questioni della Guerra Fredda e della arcirivalità in seno all’URSS (che si è disgregata qualche anno più tardi) la verità si è insinuata come una splendida verità rilasciata proprio da Tretiak, quando una ventina d’anni più tardi ritrovò quella stessa intervista di stampo sovietico.
“Nel 1984 (anno del ritiro forzato) mi restavano almeno 5 o 7 anni buoni; ero ancora in forma e mi allenamo bene come non mai. L’allora dirigente dei Canadiens (Serge Savard) ha cercato in tutti i modi di negoziare il mio nulla osta ma le autorità del tempo lo negarono in tutti i modi…Ho fatto tutto il possibile e dato sempre il 100% per il mio paese. Ho giocato in tutti i vari tornei e partite con la selezione sovietica, saltando solo un allenamento in quindici anni per un malore. Davo sempre il mio meglio, non ho mai fumato e bevuto e quando ho chiesto ai vertici della federazione sovietica di lasciarmi andare a giocare a Montréal loro han fatto muro, ricordandomi che facevo parte delle forze dell’Armata Rossa!”
Lo stesso Tretiak, primo sovietico ad essere introdotto nella Hockey Hall of Fame nel 1990 senza aver mai giocato in National Hockey League, ha lasciato aperto uno degli enigmi più grandi di tutti i tempi della storia del nostro meraviglioso sport (quasi pari alla decisione di Tikhonov di spedirlo in panchina dopo 20′ nella celeberrima Miracle on Ice del 1980 a Lake Placid)
What if…se Tretiak fosse sbarcato a Montréal? Chissà quante volte avrebbe vinto il premio come miglior goalie o MVP della Lega e soprattutto, quante Stanley Cup avrebbe portato nella Piazza Rossa all’ombra del Cremlino?
What if…